Perchè il flamenco si chiama flamenco?

Ci sono molte incertezze nel flamenco. Quando sorse? In che momento si “emancipò”, da quali culture o musiche ebbe origine. E più di ogni altra, perché il flamenco si chiama “flamenco”?

Si sono proposte diverse teorie e spiegazioni, ma di nessuna si può dire che sia definitiva e completamente certa, dall’origine olandese del termine fino all’origine araba e moresca, senza dimenticare alcune interpretazioni curiose e burlone.

Si sono proposte molte teorie, spiegazioni ed interpretazioni. Alcune furono respinte subito, altre hanno goduto del favore di molti studiosi e, perfino, hanno originato appassionate discussioni storiche e filologiche.

 El Diccionario de la Real Academia Española de la Lengua (DRAE), raccoglie varie accezioni del termine “flamenco”, tra le quali si trova quella che c’interessa: si dice di certe manifestazioni socioculturali associate generalmente al paese gitano, con speciale riferimento in Andalusia, risultano anche interessanti le accezioni: “naturale delle Fiandre” e “appartenente o relativo a questa regione storica dell’Europa.”

Tanto il DRAE come il Dizionario Diccionario Crítico Etimológico Castellano e Hispánico de Joan Corominas, derivano il termine “flamenco” da flaming che significa proprio naturale delle Fiandre in olandese, lingua dei Paese Bassi. Questa etimologia è la più persistente, ma ogni autore ha tracciato una distinta evoluzione semantica del termine per spiegare come si arriva dal significato originario all’attuale.

Col significato di ‘naturale delle Fiandre”, il termine “flamenco” cominciò ad utilizzarsi per designare le persone di carnagione rossa, come i nativo delle Fiandre, per considerarsi questi il prototipo della gente nordica e contrastare chiaramente con la popolazione romanza, di colore più bruno. Il termine si applicò anche, dovuto al colore rosso, al fenicottero, collo e zampe molto lunghi, piumaggio bianco sul collo, petto ed addome, e rosso intenso in testa e resto del corpo.    Si è attribuito anche origine araba e moresca al termine “flamenco”. Non mancano neanche le proposte curiose né burlone.

Più tardi, il termine acquisisce connotazioni spregiative. “Il motivo è il sollevamento delle Fiandre, allora un possesso spagnolo che si prolunga durante tutto il secolo XVI e parte del XVII e che finì con la nascita degli attuali Paesi Bassi.

Dopo questa guerra, gli spagnoli identificarono i nativi delle Fiandre come gente ribelle e perfino di malaffare. Da qui si estese ai gitani, sui quali ricadeva anche brutta fama, e, dopo, il termine si specializzò nell’indicare il cante gitano ed andaluso.

Ci sono altre proposte che partono dall’olandese, flaming, ma elaborano un’altra storia. Una di esse afferma che il termine flamenco si deve alla presenza di cantaores flamencos nella corte spagnola di Carlos V durante il secolo XVI. Da qui la denominazione si trasferì ai cantaores popolari andalusi e gitani che in raggruppamenti denominati “zambras” partecipavano anche a cerimonie e solennità religiose.

Un’altra teoria afferma che si incominciò a chiamare flamenchi i gitani, per i numerosi gitani spagnoli che servirono nei Tercios de Flandes, durante la guerra delle Fiandre. A loro volta erano ricompensati con privilegi vari, come quello di permetter loro di esercitare i loro mestieri tradizionali, nonostante le leggi non lo consentissero.

Un’altra teoria allude all’origine araba del termine.
I suoi autori assicurano che “flamenco” deriva da fallâh ‘campagnolo’ e mencu ‘esiliato’, questa teoria  ha dato luogo ad accese discussioni, ma attualmente non gode di molti seguaci.   Potrebbe accettarsi fallâh come ‘contadino’, benché il suo significato esatto in arabo classico sia ‘coltivatore’, ma non “mencu” (esiliato), che in arabo classico significa in realtà “malato”. Inoltre, bisogna fronteggiare un’altra difficoltà: come nacque un nuovo termine, derivato dall’arabo, tre secoli dopo la fine della dominazione araba?
 Dietro l’espulsione decretata per i Re Cattolici nel 1492, i mori che rimasero in Spagna, nascosti e in pericolo di vita, si unirono ai gitani per legalizzare la loro presenza. Ed è allora che comincia l’elaborazione del flamenco. Naturalmente non mancano teorie inaudite: il termine “florido” si applicò ai gitani “per la figura allungata e presuntuosa della persona, la cadenza spiritosa e brillante dei suoi movimenti, posizioni e gesti e l’accesa vivacità del suo temperamento e delle sue passioni, pura “llama” (latino flamma = ‘llama’).

Breve storia del flamenco

Ancor oggi, agli albori del XXI secolo, il popolo Gitano rappresenta la fonte principale dalla quale è possibile attingere informazioni sulla vera origine del Flamenco. La Spagna si potrebbe definire come una terra che già dal 1600 ospitava molteplici forme etniche, contribuendo alla fusione di melodie e ritmi che gli stessi Gitani, a cavallo tra il XVIII e XIX secolo, si impegnarono a plasmare per ricreare una nuova identità musicale.

Il Flamenco nasce quindi dalla fusione di ritmi moreschi, ispanici e afro, con riferimento alla popolazione africana aumentata di numero a causa del traffico schiavista verso le colonie americane, dando vita ad una musica Amulatada (radice africana ispanizzata), e dal folklore delle colonie spagnole d’oltreoceano con la musica cubana, che alimentava la Spagna con ritmi e gestualità dell’Habanera (che ha influenzato il Tango gitano), della Guajira e della Milonga, generando il gruppo di stili detti di “Ida y Vuelta” (Andata e Ritorno).

La Spagna non viene umiliata di fronte alle innumerevoli influenze di importazione, perché il popolo gitano, che ancora oggi rappresenta una realtà consistente della società spagnola, rappresenta la mano che ha saputo impastare ciò che di musicale si era depositato in Andalusia.

Per ovvi motivi il Flamenco ritrova la sua vera paternità nei Gitani; la sua espressione rispecchia la condizione di questo popolo nomade che per raggiungere l’eguaglianza all’interno della società è stata costretta a sacrificare la propria identità. Nel canto, forma di espressione che vede la variante andalusa del castigliano, ritroviamo il malessere propriamente zingaro, nel quale si racchiudono gioia, dolore, morte, amore, riuniti nel “Duende” (frutto del dolente sussulto dell’anima gitana). Con la spettacolarizzazione del flamenco la denuncia zingara è riconosciuta, retribuita ed acclamata.

Nei Cafés gli artisti flamenchi si esibivano, condividendo il palcoscenico con gli artisti boleri, i quali hanno attivato una corrente di scambio e prestiti, dai quali nacquero le prime soluzioni coreografiche e le caratteristiche tecniche. Oggi nei teatri si riconosce un flamenco sempre nuovo, perché è sempre capace di dialogare e di integrarsi con nuove tendenze, come è accaduto con il Jazz, il Rock, la chitarra classica e il Blues. Si può quindi considerare come un’arte che nasce e si evolve grazie alla “contaminazione”.

La danza estilizada

Il quarto gruppo delle danze spagnole è rappresentato dalla Danza estilizada, ovvero da quelle danze eseguite con o senza l’uso delle nacchere su musiche di autori spagnoli del 1800 e 1900 come Albeniz, de Falla, Gimenez e 
Taurina, o da autori non spagnoli come Bizet. La musica è considerata “classica” questo tipo di danza può essere chiamato anche classico-spagnolo. Si utilizzano comunque alcuni movimenti tipici del flamenco e l’uso delle zapatos (scarpe da flamenco) per le escobillas (giochi ritmici dei piedi). Alcuni esempi di Danza Estilizada possono essere: Sacromonte, Polo, Sacromonte, Paso Doble…

Bailes de candil

Mentre nelle Academias de Baile si insegnavano i nuovi stili della escuela bolera, nei bassifondi delle città andaluse, in quartieri come Triana a Siviglia, o il Sagromonte di Granada, venivano eseguiti atipi di danze.
Queste danze venivano eseguite nelle taverne o nelle bottiglierie, spesso provviste di patio, splendidi cortili chiusi decorati con fiori e piante profumate dove, durante la sera e fino a notte molto inoltrata, si riunivano gli abitanti del quartiere per bere vino, per stare insieme e soprattutto per assistere a canti e danze. L’unica illuminazione era quella del quadrato di cielo stellato del patio, e di alcune lampad a olio (candil); per questo motivo le danze e i locali dove si eseguivano vennero detti bailes de candil.

Le danze ballate in tali locali erano molto diverse da quelle della escuela bolera, anche se alcune delle danze come la rondeña, probabilmente ne avevano subito l’influenza. Molte di queste danze venivano eseguite a coppia e accompagnate da nacchere, tamburelli, vihuelas e chitarre.Lo zorongo è una delle danze che furono più popolari fin dal XVIII secolo, le altre danze di cui ricaviamo notizia dalla letteratura sono il tango, il polo, e la caña.
Oltre a queste si eseguivano abitualmente altre danze della tradizione Andalusa come il vito, la malagueña, la cachucha, il torero, i panaderos… Tutte le danze citate presentano molti dei tratti che saranno caratteristici del flamenco, come il particolare movimento delle braccia e del corpo, che variano dalla sinuosità più sensuale agli scatti temperamentali caratteristici soprattutto della danza gitana. L’uso coreografico del vestito con volantes e dello scialle e il taconeo rinviano direttamente a ciò che pochi anni dopo si vedrà sulle scene dei cafès cantantes.

Il baile nei cafè cantantes

Anche il baile, come il cante, ricevette dai cafès cantantes un fortissimo impulso creativo. La professionalizzazione e il contatto fra gli artisti furono stimolo di nuove creazioni e si definirono alcuni degli stili che ancora oggi costituiscono la base del baile flamenco, quali la soleares, e le alegrìas. Nei cafès cantantes il baile cambia anche dal punto di vista tecnico: si fa più maestoso e aumentano le difficoltà di esecuzione, che sempre più tendono a differenziare il baile maschile da quello femminile.
Il primo, basato soprattutto sulla tecnica dello zapateado (battito dei piedi), comincia a produrre le prime escobillas (sequenze di zapateado) complesse. Il baile femminile, per contrasto, è invece centrato sui movimenti graziosi ed eleganti del corpo, delle braccia e delle mani, che, in molte danze, si sono liberate delle nacchere, poco adatte ad accompagnare la profondità degli stili che vanno formandosi.  Nel baile femminile il mantòn d Manila, grande scialle usato come accessorio, ma anche come strumento coreografico, e la bata de cola, vestito di volantes caratterizzato da una lunga coda molto difficile da maneggiare.Oltre alle maestose e profonde soleares e alle fresche alegrìas, nel cafè cantantes si eseguono bailes come il tiento, il garrotìn, e il tango, baile estero molto amato dal pubblico, caratterizzato da veloci contorsioni eseguite dalle bailaoras con grazia e malizia. Altre danze come lo zapateado o la farruca sono invece caratterizzate da una grande solennità e da un largo uso della tecnica dello zapateado.
Al principio degli anni Venti, nel periodo di maggior successo dei cafès cantantes, per i balli della escuela bolera cominciò un periodo di decadenza, dovuto in parte al grande successo riscosso dagli spettacoli di flamenco, in parte a una sorta di fossilizzazione delle danze boleras che non riuscivano più come un tempo a trovare nuovi spunti nella musica popolare.

Le creazioni di alcuni musicisti nazionali come Falla, Turina, Albenìz, Granados, o di Bizet e Ravel, che si erano ispirati alla musica popolare spagnola e al flamenco, diedero lo spunto ad alcuni ballerini della scuola bolera per tentare una nuova rivoluzione che permettesse loro di combinare le conoscenze classiche di cui erano in possesso con alcuni elementi del flamenco. Così nasce il ballet flamenco, mentre la moda dei cafès cantantes inizia a declinare e il cante e il baile cercano nuovi lidi e un nuovo pubblico, che porteranno il flamenco a compiere una nuova evoluzione.

Il ballet flamenco

Il baile, così come era interpretato nei cafè cantantes, era caratterizzto da libertà espressiva, spontaneità, freschezza e profondità che dipendevano soprattutto dalle capacità espressive e dall’ispirazione dell’interprete.

Nel ballet flamenco, invece, il senso intimo e personale del baile si perde. Le coreografie di più elementi che caratterizzano questo genere di spettacolo, infatti, richiedono studio e prove ripetute per realizzare la perfetta sincronizzazione di tutti gli elementi che agiscono all’unisono. Diventano quindi importanti la scenografia, le luci e i costumi, che servono a dare una dimensione scenica all’argomento o alla trama del balletto.
Non più, dunque, il ballo astratto ma un argomento, un libretto d’opera insomma, che il ballo deve interpretare. Scompare la sobria chitarra, inseparabile compagna del baile nel cafè cantante, sostituita dall’orchestra o confinata all’accompagnamento di qualche isolato pezzo di flamenco. Gli interpreti del ballet, come abbiamo visto, sono in genere ballerini provenienti dalla escuela  bolera o dal baile español. Nasce, per indicare il rappresentante di questa categoria di interpreti, la definizione di bailaor – bailarìn, quasi ad indicare la loro natura ibrida, tipica delle fasi di transizione.

Malgrado ogni contaminazione, tuttavia, anche nel ballet flamenco continua a rimanere qualcosa del flamenco in senso proprio. Molte rappresentazioni di ballet, avevano come intermezzi alcuni pezzi di flamenco, per esempio le alegrìas e la farruca. Spesso i balletti di maggior caratura musicale si basavano su un’orchestrazione di ritmi flamenchi: in El amor brujo, per esempio, il Ritual del fuego e il Fuego fauto sono evidentemente il frutto di un’elaborazione orchestrale dei ritmi, rispettivamente, della zambra e della buler’ìa. Lo stesso si può dire per El Corregidor y la Molinera, ispirata a El Sombrero de tres picos di Ruiz Alarcòn, dove compaiono danze come la farruca (del molinero) o il fandango (de la molinera). Anche se vi compaiono artisti flamenchi non si può parlare davvero di ballet flamenco fino al 1929, anno in cui Atonia Mercè “La Argentina” presenta all’Opera Comique di Parigi il suo Ballet Español. La Argentina, bailaora e bailarina dotata di grandi capacità interpretative e coreografiche, ebbe un ruolo fondamentale nella rivalutazione della danza spagnola che arricchì di elementi tratti dal folclore, tra i quali l’uso delle nacchere, cui diede nuove sonorità, e dal flamenco, compiendo però, un processo di stilizzazione degli aspetti più laceranti e violenti propri del baile gitano.

La Argentina colse importanti e ripetuti trionfi anche all’estero, dove portò la sua compagnia e le sue creazioni risvegliando l’interesse del pubblico colto nei confronti della danza spagnola e del flamenco. Un altro grande personaggio che contribuì in modo decisivo, anche se del tutto diverso, all’intellettualizzazione del baile flamenco, cioè alla sua diffusione presso il pubblico colto, fu Vicente Escudero.
A diciassette anni, dopo un lungo periodo trascorso tra i gitani del Sacromonte, Escudero inizia la sua carriera artistica nei cafè cantantes. Poco dopo però, lascia la Spagna per evitare il servizio militare. Si reca in Portogallo, e soprattutto a Parigi, dove entra in contatto con artisti e intellettuali. Il cubismo influisce in modo particolare sulla sua danza, che diventa pura linea e contrasto.  Famosissimo il suo Decalogo del baile flamenco:

1. Ballare da uomo
2. Sobrietà
3. Ruotare il polso da dentro verso l’esterno con le dita unite
4. Fianchi fermi
5. Ballare con gravità e impeto
6. Armonia di piedi, braccia e testa
7. Estetica e plastica senza mistificazioni
8. Stile e accento
9. Ballare con indumenti tradizionali
10. Ottenere varietà di suoni con il cuore, senza placche sotto le scarpe, senza fondali posticci e senza accessori

Artista coraggioso, Escudero apportò diverse innovazioni al baile: fu il primo a interpretare la siguiriya, fino ad allora sacralmente riservata al cante, introdusse l’uso di nacchere metalliche, di antica provenienza mediterranea, e soprattutto fu il primo a eseguire passi di flamenco nelle opere di Falla, Turina e Albenìz. L’opera avviata da Escudero e dalla Argentina fu proseguita da Encarnaciòn Lòpez “La Argentinita”, che introdusse scene di cante e baile e canzoni popolari nel repertorio della sua compagnia.

La sorella Pilar Lòpez, che si rivelò un’ottima interprete e coreografa, seppe ampliare il repertorio flamenco rendendo ballabili molti cantes tra cui la serrana e i caracoles. Questi ballet riscossero un grandissimo successo e favorirono la nascita e l’attività di nuove compagnie, come quella di Luisillo, di Maremma, di Josè Greco, di Manolo Vargas o di Roberto Ximènez. In quegli anni però, un autentico tornado stava attraversando la Spagna e il mondo.

Una gitana di Barcellona, con la sua danza puramente gitana, di una forza devastante, era diventata l’incarnazione vivente del flamenco: Carmen Amaya. Carmen Amaya (1913-1963) rappresentò un vero fenomeno del baile. Dotata di un’energia e di una velocità straordinarie, fu la prima donna che ballò zapateado come un uomo, ma con una forza interpretativa e una passionalità travolgenti. Costituì la prima compagnia composta solo da gitani e con un repertorio escusivamente flamenco, con la quale si esibì in molti paesi stranieri, ovunque famosa e ammirata. Tra la fine degli anni Venti e gli anni Cinquanta, attraverso l’opera dei grandi interpreti, il baile stava progressivamente e profondamente cambiando, da una parte stilizzandosi nelle forme del ballet flamenco, dall’altra continuando ad arricchire e  a sviluppare il repertorio includendovi, e rendendo con ciò ballabili, molti palos fino ad allora riservati al cante (martinete, romeras, tarantos) e soprattutto, i balli più allegri e leggeri come i canasteros (rumba gitana, tanguillo, bulerias) o quello di origine folklorica come il fandango e la sevillanas.

El baile flamenco

Verso la metà degli anni Cinquanta compaiono i primi tablaos. Nati come attrazione turistica, i tablaos furono fin da subito un’importante fonte di lavoro per molti bailaores, che ritrovano in questo tipo di locale l’ambiente intimo e raccolto dove poter rivivere  e riassaporare le forme più genuine del flamenco. Molti artisti, infatti, alternavano il lavoro nelle compagnie a periodi di permanenza nei tablaos, dove si formò ben presto un ambiente flamenco simile a quello dei cafè cantantes, che aveva nelle riunioni di artisti e aficionados la sua dimensione ideale. Il tablao è ancora oggi considerato la migliore palestra per l’artista flamenco perché, come un tempo nel cafè cantante, il rapporto ravvicinato con il pubblico permette agli artisti di sfruttare e sviluppare al massimo le loro capacità espressive.

Tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta il flamenco vive momenti di grande diffusione e successo, grazie anche alla comparsa di artisti di grandi talento, tra questi El Farruco, Matilde Coral e Rafael El Negro, a lungo insieme come componenti de Los Bolecos, Mario Maya, Carmen Mora e El Güito, Antonio Gades e Cristina Hoyos, Manuela Vargas, Rosele, La Ch’unga, e i più giovani Manolete, La Tati, Merche Esmeralda, Carmen Cortès, Ana Parilla,  Milagros Menjibar, Manuela Carrasco, Concha Vargas, La Toñá. Alcuni di questi grandi artisti, formatisi spesso nel ballet flamenco, si volsero al testro, cercando però nuovi moduli espressivi, più consoni al pubblico moderno. Antonio Gades, ispirandosi a opere come Bodas de sangre di Garcìa Lorca, da cui trae nel 1974 la Crónica del sceso de bodas de sangre, la Carmen di Mérimée (Carmen Story) o El amor brujo di De Falla (Fuego 1986), crea coreografie nelle quali, senza abbandonare lo stile flamenco, stilizzato secondo gli insegnamenti del suo maestro Escudero, porta i suoi ballerini a operare come veri attori, interpreti di una storia danzata dove il flamenco assolve la funzione di linguaggio.
Dotato di una geniale facilità coreografica, Gades mobilita grandi masse umane che si muovono sulla scena creando ambienti e atmosfere attraverso l’uso di scenografie ridotte al minimo e costumi non tradizionali, spesso presi dalla vita quotidiana. Gades è senza dubbio uno degli artisti che più hanno contribuito alla conoscenza e diffusione del flamenco in questi ultimi vent’anni, anche grazie alla realizzazione di versioni cinematografiche delle sue opere in collaborazione con il regista Carlos Saura.
Mario Maya, artista gitano, tenta, attraverso un linguaggio più vicino all’espressione corporea e intriso di una forte carica drammatica e sociale, di far conoscere la storia e la realtà dei gitani: Teatro Gitano-Andaluz (1974), Camelamos Naquear! (1976), Ay jondo (1977), Armarlo (1986), Tres movimientos flamencos, sono solo alcune delle sue realizzazioni più significative. Anche Cristina Hoyos, dopo la lunga collaborazione con Antonio Gades, crea una sua compagnia, legata a schemi più tradizionali e stilizzati a livello formale, sempre però utilizzando il flamenco come linguaggio.
Le sue creazioni più conosciute e significative sono Ritmo Flamenco (1989), Carmen (1990), Yerma (1992), e Arsa y Toma (1997), dove il flamenco si dimostra capace di autoironia e perfino comicità.La più recente generazione di bailaores tenta in questi anni di trovare un linguaggio proprio, adatto ad una società frenetica e consumista. Questo percorso passa per alcuni attraverso il perfetto adeguamento alle leggi del mercato – è il caso di Joaquìn Cortés -,  per altri attraverso la ricerca e la contaminazione, da cui si attingono moduli espressivi, ma anche attraverso il recupero e la conoscenza profonda degli aspetti più autenticamente flamenchi. È il caso di bailaores come Antonio Canales, Belén Maya, Eva Garrido “La Yerbabuena”, Javiér Barón, Juana Amaya, Angelita Vargas, Sara Baras, e Joaquìn Grilo.

La tecnica del baile flamenco

La tecnica del baile flamenco è molto complessa e richiede anni di studio per essere veramente assimilata.

 I PIEDI
I movimenti dei piedi sono di diverso tipo: il punteado, gioco di piedi consistente in passettini e intrecci dei piedi con cui ci si sposta senza fare rumore e che vengono eseguiti di solito durante la falseta della chitarra; i desplantes, serie di colpi eseguiti con forza che vengono utilizzati per concludere una sequenza di passi di punteado o di zapateado; lo zapateado (o taconeo), gioco di piedi con cui si ottengono suoni mediante la percussione del suolo con diverse parti della scarpa: tacco, punta, pianta.
Attualmente si è soliti distinguere tra escobilla che comprende una lunga serie di passi di zapateado, remate (letteralmente fine, conclusione, rifinitura, che corrisponde di solito a un redoble utilizzato per concludere contemporaneamente al cante un terzio, cioè un verso cantato, perché il baile e il cante acquistino insieme maggior forza; llamada, serie di colpi o piccola sequenza di zapateado con cui il bailaor chiama il cante o una falseta; cierre, con cui si pone fine a una sequenza, che di solito è preceduto da un crescendo ritmico, subida de ritmo.

I MOVIMENTI DEL CORPO

I movimenti del corpo sono vari, alcuni più tipicamente femminili, come le ondulazioni del busto e delle mani, detto braso, o il chiudersi e il rannicchiarsi per poi allungarsi verso l’alto; altri prevalentemente maschili, più sobri e limitati, caratterizzati da atteggiamenti ieratici in contrasto con la forza e la frenesia delle parti ritmiche delle escobillas, punto forte del baile maschile.
I marcaje sono invece movimenti di origine molto antica e caratteristici di danze religiose. Possono essere eseguiti sul posto, con movimenti minimi dei piedi e un largo uso del braceo, oppure eseguendo spostamenti frontali o laterali, mantenendo sempre l’attenzione concentrata sulla parte superiore del corpo.
Vi sono poi dei movimenti di contrazione e di estensione, torsioni e un particolare uso della testa e del gesto che sono caratteristici del baile flamenco. Il bailaor guarda dritto davanti a sé, in un atteggiamento di provocazione e di sfida che vuole essere soprattutto dimostrazione di presenza, sicurezza e convinzione. L’espressività del volto è fondamentale in questo tipo di danza, perché è il luogo dove emergono la capacità espressiva e la sensibilità particolare di ciascun artista, attraverso le contrazioni del volto, le smorfie e gli sguardi che servono ad esprimere la vasta gamma di sentimenti e passioni propri del flamenco e dei suoi interpreti.
Il baile non è l’esecuzione di una danza codificata e fissa, bensì la personale creazione di un interprete. Ogni interprete propone una coreografia che esprime la sua personale interpretazione di un determinato palo seguendo, però, schemi più o meno regolari.
Il bailaor non si limita a seguire la musica di accompagnamento, come avviene in altre danze. Nel flamenco, anzi, si verifica esattamente il contrario: il bailaor determina la struttura della coreografia decidendo dove inserire il cante e le falsetas del chitarrista, ed è sempre il bailaor a decidere quando e come salire di velocità o chiudere una sequenza. In questo caso il cante e il toque sono dipendenti dai movimenti e dai segnali del bailaor.
Nel flamenco, grazie a queste strutture più o meno fisse, gli artisti possono lavorare insieme pur conoscendosi appena: l’importante è che ciascuno sappia esattamente ciò che deve fare e che ci si accordi precedentemente sull’inserimento e sul montaggio delle varie parti. Questo linguaggio condiviso da tutti gli interpreti rende possibile e favorisce l’improvvisazione. Si tratta quindi di un dialogo composto da chiamate e risposte del cante, del toque e del baile. Che in questo modo creano una forte tensione drammatica.
Nell’esecuzione del flamenco ogni interprete ha diritto a un momento da protagonista, riconosciuto dagli altri interpreti; perciò il bailaor, ad esempio eviterà di inserire pezzi di zapateado su una falseta particolarmente delicata, o su una letra, per non disturbare l’ascolto del cante  e del toque. Vi sono, cioè, passi adatti a ogni momento musicale che vengono inseriti secondo la sensibilità e le conoscenze dell’artista.
Alcuni bailes, come la solèa, la alegrìas e il tiento, presentano una struttura più regolare, altri invece, come la siguiryia, il martinete o il taranto sono molto legati alle facoltà vocali e alle esigenze espressive del cantaro. In questi casi è il baile che deve adattarsi al cante, rematando quando questo termina e improvvisando se invece si prolunga oltre il previsto. Nei balli festeros, come il tango, il cante è più irregolare e assume varie forme e durate. Per riuscire a rematar con il cante il bailaor deve perciò acquisire una prontezza di riflessi che può derivare solo da anni di pratica e di approfondimento. In questi bailes, che dal punto di vista tecnico non sono molto complicati, ciò che conta è la capacità di improvvisazione e soprattutto la malizia, la grazia e la naturalezza con cui vengono eseguiti.